Il RICORDO INDELEBILE DELL’ULTIMA CENA A STOCCOLMA CON PASOLINI

Pier Paolo Pasolini non venne a Stoccolma esclusivamente per presentare il suo film, Salò. La sera prima che partì per l’Italia aveva partecipato alla presentazione del suo volume, “Le ceneri di Gramsci”, dell’editore Cockelbergs Förlag, Stockholm, all’Istituto Italiano di Cultura.
Pasolini rifiutò cortesemente un invito a cena di Lucia Pallavicini, direttrice dell’Istituto, per stare insieme al suo editore, René Cockelbergh.
Quella sera ero all’Istituto in compagnia di mia moglie, Doris: un evento eccezionale poiché lei non partecipava volentieri alle serate letterarie.
Alla fine della presentazione del libro fummo avvicinati da Cockelbergh, che poco prima mi aveva chiesto un saggio su Giacomo Puccini e le sue opere apparso alcuni anno dopo sul periodico letterario della casa editrice “Jacob stege”, che chiese se volevamo andare a cena con lui e Pasolini: un invito che gradimmo moltissimo.
Lasciammo l’istituto e in tassì andammo al ristorante Gyllene Freden nella città veccha.
Durante il breve tragitto in auto soltanto Cockelbergh pronunciò poche parole di commento della serata, senza che nessuno di noi tre aprisse bocca.
Entrati nel ristorante, fummo accolti dal direttore del locale che ci accompagnò al tavolo situato nel centro di una delle sale.
La serata non si presentava caratterizzata dalla loquacità.
Pasolini era pensieroso e non partecipava alla discussione che l’editore aveva iniziato, lamentandosi del disinteresse che aveva suscitato negli ambienti culturali europei il progetto di una sua lussuosa edizione in due tomi e quattro lingue, tra cui l’italiano, del “Il Libro degli uccelli” di Olof Rudbeck il giovane rimasto ignoto per quasi due secoli.
Poichè Pasolini continuava a essere pensieroso, quasi assente, anche René Cockelbergh preferì far scena muta per il resto della serata. La discussione continuava a languire e sia mia moglie che io eravamo visibilmente preoccupati quando, all’improvviso, dalla bocca di Pasolini uscì quasi un sibilo:

–… ho tanta paura…! 
Mia moglie ebbe un sussulto e Cockelbergh, di rimando, chiese:
di cosa hai paura Pier Paolo?
E Pasolini, come risvegliato da un lungo torpore, rispose:

io… paura? Io non ho paura di nulla!
E Cockelbergh:
– ma se lo hai detto, l’abbiamo sentito tutti!
– no, io non ho detto nulla!
Preferimmo continuare di ripiombare nel mutismo per pochi minuti ancora in attesa che Cockelbergh ritornasse, dopo aver pagato il conto.  Accompagnammo Pasolini nel suo albergo per poi proseguire ognuno verso casa.
Il giorno successivo René Cockelbergh mi telefonò. Era ancora turbato per quanto era accaduto la sera prima e, dopo aver appreso, due giorni dopo che Pasolini aveva lasciato Stoccolma che era stato trucidato, sia lui che io ricordammo e commentammo quella frase che ancora oggi è indelebile in me e mia moglie.
Nessuno dei giornali di cui ero corrispondente dall’area Nordica pubblicò la notizia. L’unico quotidiano che la riportò fu il Dagens Nyheter di Stoccolma, in un articolo apparso, se non erro, il 6 novembre 1975 firmato dal critico letterario del quotidiano, Bengt Holmqvist, italianista per eccellenza.
Bengt mi telefonò di buon ora, il cinque novembre mattina, per darmi la notizia che Pasolini era stato ucciso e durante la conversazione gli raccontai l’episodio accaduto al Gyllene Freden.                                                                                      

Angelo Tajani