Andrea Camilleri ha compiuto 90 anni il 6 settembre. In suo onor presentiamo questo articolo di Fulvio Leone che lo riguarda da vicino.
È noto che la nostra lingua è cambiata più dall’apparizione dei Promessi sposi nel 1840 che nei cinque secoli precedenti. Negli ultimi 165 annisono cambiati un poco la morfologia, la grafia, la pronuncia, un po’ di più la sintassi, mentre hanno avuto un’evoluzione vistosa i pronomi personali e il lessico.
In relazione a quest’ultimo, si osserva nell’Ottocento l’espunzione di certe parole che cominciavano a divenire obsolete. Tra i verbi coesistevano i sinonimisovvenire, rimembrare, memorare, rammemorare, rammentare e ricordare, dei quali sopravvivono oggi solo l’ultimo e a mala pena il penultimo. Il sostantivo fiasco è parola oggi in disuso nel senso di insuccesso , mentre è tuttora normalmente usata in molte lingue europee, ad es. in svedese (fiasko). La parola morta risico, ma viva ancora in alcuni dialetti, è oggi l’equivalente di rischio in alcune lingue, come il norvegese (risiko) e il tedesco (Risiko).
Fra le parole prevalenti nel passato, ma perdenti, abbiamo: parere, gettare, pigliare, levare, giovane (sost.), abito, talvolta, sostituite oggi più spesso da sembrare, buttare, prendere, togliere, ragazzo-a, vestito, a volte. In particolare molte parole formali hanno lasciato il posto a quelle familiari o di livello medio; per es. intendere e comprendere, destare, apprendere, giungere, divenire, udire, fanciullo, memoria e rimembranza, medesimosono oggi sostituite molto più spesso dalle vincenti capire, svegliare, imparare, arrivare, diventare, sentire, bambino, ricordo, stesso.
Oggi si usano in quasi tutta Italia sempre meno i vocaboli più tipicamente toscani, ad es. desinare, figliuolo, uscio, babbo, cencio. Inoltre la perdita di molte locuzioni che ricalcavano le equivalenti francesi, per es. non far motto, cadere malato, mettersi in collera, sembra indicare che l’italiano, dopo secoli di influsso d’oltralpe, abbia acquisito una sua autonomia.
Alcune parole hanno modificato il proprio significato: per es. gli amanti ottocenteschi erano degli innamorati; attimo oggi si usa anche come sinonimo di momento; i bambini di 8-9 anni vengono definiti ragazzi nelle Avventure di Pinocchio; e, legato alla sua etimologia e insolito nell’Ottocento, soldi ha in gran parte sostituito denaro-i.
Tra gli scrittori che hanno più di altri rinnovato il vocabolario italiano, si annoverano i veristi; mentre all’opposto si pone Gabriele D’Annunzio, che, sebbene fosse un modernista (pilotava gli aerei), componeva a cavallo tra i due secoli opere in un lingua già allora molto antiquata.
I romanzi di Andrea Camilleri segnano la riabilitazione dei bistrattati ma gloriosi dialetti (basti pensare al Belli e al Porta). Gli italiani non sono abituati a leggere il dialetto, ma apprezzano le espressive parole dialettali (specie siciliane) che tale strittore, componendo in un linguaggio familiare panitaliano, immette nel testo, però in percentuale che varia molto da libro a libro.
L’argomento linguistico oggi più discusso, in Italia e altrove, è l’invasione degli anglicismi, che viene disapprovata da molti. Tale fenomeno globale, che non riguarda solo l’informatica, dipende dalla potenza economica del mondo anglofono; così come la potenza economica della Firenze rinascimentale ha fatto sì che parole come conto e banca si siano diffuse in moltissime lingue. Comunque noi italiani non possiamo lamentarci, giacché lamaggioranza relativa (o forse assoluta) delle parole di circolazione mondiale sono in fondo parole di origine italiana; diffuse soprattutto da spagnolo, francese, portoghese e inglese, usati come lingua materna e come lingua seconda. Le prime tre hanno un lessico quasi soltanto greco-latino, e l’ultima può considerarsi il latino dei nostri giorni, sia perché è la lingua universale, sia perché è fatta in grandissima parte di parole nostrane acquisite per secoli o direttamente dal latino o attraverso il francese. Si pensi infine che in molti paesi del mondo in cui vige un altro alfabeto, ad es. nel Maghreb, si usa un poco anche l’alfabeto latino.
Fulvio Leone