IL PIÙ GRANDE DISASTRO AEREO DELL’AVIAZIONE MILITARE SVEDESE

Il 18 novembre 1947 era una di quelle uggiose giornate autunnali e le cime dei monti della costiera amalfitana erano coperte fino a bassa quota dalle nuvole. Ero assorto nella composizione di un tema assegnatoci dall’insegnantedi prima media, quando il rombo di un aereo che volava a bassissima quota mi fece accorrere in terrazza. Erano da poco passate le quattro del pomeriggio ma non si vedeva neanche la torre di Tabor, situata sulla collina proprio di fronte a casa nostra, sull’alto versante del paese. Ríuscivo a percepire il rumore dell’aereo, che in quel momento passava sopra la mia testa, quasi i motori ronzassero, arrancando,  per poi perdere ritmo e potenza.
Per quanto mi sforzassi di localizzarlo, non riuscivo a discernere la sagoma tra la fitta coltre di nubi. Eppure sentivo che l’aereo non poteva essere molto in alto perchè il frastuono del motore, amplificato dalle pareti della montagna, era divenuto quasi assordante. Io ero solo in casa con una vecchia zia piuttosto dura d’orecchi e nessun altro in famiglia, che era giù in paese, aveva fatto caso al rombo. Fu solo in serata, mentre stavamo cenando, che arrivò ad Amalfi la notizia della sciagura: un aereo era precipitato sulle montagne di Scala, una cittadina situata sulla collina a cinque chilometri da Amalfi.
Al mattino, appena sceso in piazza, incontrai due compagni di classe, senza pensarci su due volte, decidemmo di marinare la scuola e andare a fare un sopralluogo. Salimmo lungo la scalinata che dalla valle delle cartiere raggiunge Scala.  Dopo una breve sosta, raccolte alcune arance nel giardino dei genitori di uno dei due amici, prosenguimmo in direzione di Santa Maria dei Monti, meta abituale delle scampagnate degli abitanti delle località costiere durante la pasquetta e nei mesi torridi, quando si va in gita su per le altura in cerca di un po’ di frescura.
Poco dopo Minuto fummo bloccati da una pattuglia di carabinieri che impediva l’accesso ai curiosi. Così cambiammo itnerario ed andammo a Scala. Avvicinati alcuni conoscenti, riuscimmo a sapere che a bordo dell’aereo precipitato c’erano dei giovani ufficiali svedesi, quasi tutti morti, e che nella zona della sciagura era disseminata di rottami, oggetti personali e corpi dilaniati. I primi ad accorrere erano stati quattro pastori di Scala che in quel momento pascolavano il gregge a poca distanza. Erano stati loro a dare l’allarme e a portare i primi soccorsi ai feriti, ospitandoli in una capanna della guardia forestale. Due dei superstiti, ancora in stato di shock, fumarono una sigaretta e bevvero un bicchiere di vino. Gli ufficiali dell’aereonautica militare svedese che si trovavano a bordo del Bristol Freighter, un bimotore di fabbricazione britannica, rientravano da Addis Abeba dopo aver consegnatoall’aviazione del negus sedici cacciabombardieri SAAB B-17, apparecchi in via di sostituzione nell’aviazione militare svedese.
L’aereo era decollato dalla capitale etiopica lunedì sedici novembre, era rimasto fermo per la notte a Tobruk, da dove era ripartito nella mattinata del giorno successivo. Sulla rotta per Roma aveva fatto uno scalo tecnico a Catania, per un rifornimento di carburante, e stava proseguendo alla volta dell’areoporto dfi Ciampino dove i passeggeri avrebbero dovuto trascorrere la notte in albergo prima di riprendere il volo per la Svezia il giorno successivo.  Dopo la partenza da Roma, avrebbe dovuto effettuare scali a Zurigo, Amsterdam e Malmö e arrivare a Stoccolma nel pomeriggio di giovedì 20 novembre.
    ”Mi è rimasta impressa nella memoria la scena che si presentò ai miei occhi – racconta Ferdinando Bottone, all’epoca uno dei quattro giovani pastori che stavano pascolando sui monti – quando dopo una corsa nella nebbia attraverso il bosco su per la china della montagna, raggiungemmo il luogo in cui si era schiantato l’aereo. Fu uno spettacolo orrendo. Per prima cosa cercammo eventuali sopravvissuti. Io, Luca Bottone e Nicola Giordano ci avvicinammo alla carlinga dell’aereo inciampando in valige, lamiere, rottami e oggetti sparsi tutt’intorno, e trovammo alcuni superstiti. Li caricammo sulle spalle e li portammo a valle per cercare riparo nella casupola della guardia forestale. Quando andammo a predere l’ultimo dei feriti, uno dei miei compagni corse a dare l’allarme e a chiamare i soccorsi. Un’ora dopo – conclude Ferdinando – arrivarono i soccorritori e i carabinieri, i quali cominciarono a perlustrare la zona e a catalogare tutti gli oggetti che erano sparsi sul suolo e venivano raccolti dagli abitanti di Scala accorsi in gran numero”.
Ma vediamo le impressioni riportate da uno dei più autorrevoli quotidiani di Stoccolma, il Dagens Nyheter, che all’epoca aveva com corrispondente da Roma il leggendario Agne Hamrin, grande amico dell’Italia.
    ”I carabinieri raggiunsero celermente il luogo della sciagura e furono messi di guardia ai rottami; in serata, nella stazione dell’arma di Ravello, erano stati già depositati i preziosi e gli oggetti di valore trovati dagli abitanti.
    Chi scrive – continua Hamrin – ha avuto l’impressione che le autorità italiane abbiano agito in modo ineccepibile ed encomiabile, con rapidità ed efficienza: un’ardua impresa, se si tiene conto delle difficoltà che hanno avuto i soccorritori per raggiungere il luogo della sciagura, situato a più di tre ore di cammino da Scala.”
Il giorno dopo, nella cappella del cimitero del paese, le venti bare che contenevano i resti dei giovani piloti , erano state allineate in attesa di intraprendere l’ultimo viaggio.
    ”Era il fior fiore dell’aereonautica svedese”, scrivevano i giornali.  

Sintesi dal volume ”IL MONELLO DI AMALFI” di Angelo Tajani