Presentiamo qui un breve riassunto e alcuni estratti dell’interessante relazione fatta dal segretario generale della FILEF, Rodolfo Ricci, ad un seminario organizzato il 12 aprile scorso dalla Fondazione Di Vittorio.
Intanto alcune cifre sulla storia dell’emigrazione
Dal 1870 al 1970 ci sono stati circa 27 milioni di espatri. I discendenti italiani oggi nel mondo sono stimati tra i 60 e gli 80 milioni.
Nel dopogrerra (1945-1970) ci sono stati7 milioni di espatri, in corrispondenza con un grande sviluppo industriale nel Nord Europa, in Francia, in Svizzera, in Germaniae in Belgio, parallelamente a grandi flussi di emigrazione dal Sud al Nord Italia. Inoltre America Latina, Australia e Canada.
Dal 1970 al 2005, si invertono i flussi e l’Italia diventa un paese di immigrazione, anche se continuano (circa 50 mila espatri all’anno) flussi migratori soprattutto verso il Nord Europa.
Con l’aggravarsi della crisi economica, si riduce l’immigrazione e torna ad aumentare l’emigrazione: 100 000 espatri, secondo i dati dell’ISTAT, solonel 2015
All’inizio del secolo scorso e nel primo dopoguerra i grandi movimenti di emigrazione erano determinati da un eccesso di forza lavoroe un surplus demografico, come in Italia, verso paesi con grande sviluppo industriale e scarsitá di forza lavoro ed erano quindi vantaggiosi sia per il paese di partenza che quello di accoglienza (vedi anche le rimesse degli emigrati); dagli anni 70 in poi non vi sono strumenti specifici di regolazione bilaterale dei flussi. La regolazione è lasciata al mercato.
La Nuova Emigrazione
L’emigrazione dall’Italia nell’ultimo decennio ha le seguenti caratteristiche:
– E`determinata esclusivamente dal mercato ed è legata agli accordi di libera circolazione previsti dal trattato di Schengen.
– Non esistono, sul piano istituzionale, misure di orientamento e di accompagnamento dei nuovi migranti alla partenza. All’arrivo tutto dipende dalla capacitá individuale del singolo lavoratore e al gradimento che si registra nel mercato del paese di accoglienza.
– Secondo le modificazioni del mercato del lavoro, questi nuovi migranti si muovono di volta in volta verso paesi diversi “nomadismo migratorio”
– L’integrazione nei paesi di arrivo è legata alle capacità individuali dei migranti, non si può parlare, come nel dopoguerra, di collettivitá migranti che assumevano coscienza politica e sindacale del loro ruolo nella societá di accoglienza.
– Sono anche diverse le forme di aggregazione. Mentre i migranti del dopoguerra si organizzavano in diversi movimenti associativi, i nuovi migranti collaborano sul piano di un mutuo soccorso generico, atraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche (vedasifacebook).
Consistenza della nuova emigrazione
Secondo i dati dell’AIRE, lo stockdi italiani all’estero è passato da 3.106.251 nel 2006 a 4.636.647 nel 2015, con una crescita del 49,3% in dieci anni.(Dati probabilmente sottostimati se si studiano i flussi di ingresso, per esempio, in Germania e in Gran Bretagna.)
L’aumento riguarda tutte le aree del mondo: Europa: +508.000, Americhe: + 809.000, Resto del mondo: 127.500
Gli emigranti provengono sia dal nord che dal sud: Le regioni che hanno oltre il 10% di migranti sulla popolazione totale sono: Lazio, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Trentino Alto Adige.
Predominano comunque le regioni del Nord Italia, a conferma che il rapporto tra risorse umane disponibili e capacitá produttive è dovunque squilibrato: negli anni della crisi è stato distrutto quasi il 20% della capacità industriale.
La Nuova Emigrazione può essere considerata una delle manifestazioni più significative e preoccupanti della crisi attuale del nostro paese ( e anche degli altri paesi del sud Europa):
a) Media-alta scolarizzazione (oltre il 60% laureati o diplomati
b) Si sviluppa in uno scenario globale di flessione economica e non di sviluppo, come avvenne invece nel dopoguerra.
c) Si sviluppa in uno scenario di flessione demografica dell’Italia
Difficile sostenere ora l’idea di emigrazione come risorsa: ne consegue un peggioramento dell’equilibrio demografico e carenza di competenze di medio-alto livello per lo sviluppo. Inoltre, per quanto risulta, questi giovani migranti non pensano a rientrare, o a costruirsi la casa in Italia, non certo per mancanza di affetto o di nostalgia ma per il dubbio che il nostro paese possa riproporre loro condizioni di lavoro e di vita dignitose e soddisfacenti a breve e medio termine. Quindi le rimesse, se ci saranno, saranno irrisorie.
Si tratterebbe quindi, di un “vuoto a perdere. ”La Nuova Emigrazione peraltro è costata tantissimo in termini di investimento del paese e delle famiglie. Si parla di oltre 100 miliardi.
Che fare? Che prospettive ci sono per il futuro?
Lasciamo questa parte per un altro articolo.
Riassunto a cura di Antonella Dolci