Oggi raccontiamo la storia di tre ragazzi, Gerardo Monteverde ed i due fratelli Pasquale e Sandro Russomanno, che da un paese dell’Irpinia sono arrivati qui in Svezia, Stoccolma per la precisione, portando con loro una passione, quella della musica.
Ciao a tutti e tre. Voi siete i Valerihana e venite da Caposele, uno sperduto paese dell’Irpinia, ci raccontate la vostra storia? Cominciamo proprio dall’inizio, le vostre origini.
Ciao! Prima di iniziare dobbiamo fare una precisazione, il nostro paese ha subito il sisma disastroso del 1980 e noi apparteniamo alla generazione post terremoto. Dopo il sisma comparvero su tutto il territorio prefabbricati in legno, usati come abitazioni temporanee dagli sfollati. Negli anni novanta la maggior parte di queste costruzioni vennero abbandonate poiché la gente si trasferì nelle case ricostruite. Noi usammo questi prefabbricati come sala prove, infatti il nostro genere, più che garage rock come definito in America, lo abbiamo preferito chiamare prefab-rock.
La band nasce nel 2007 come cover band, ma molto presto scattò la voglia di andare oltre ed iniziare a fare pezzi propri.
Con le vicissitudini della vita, la formazione della band è cambiata più volte, fino a trovare un equilibrio stabile di tre componenti, essenziale per l’evoluzione della band soprattutto dopo lo spostamento all’estero (Polonia e Svezia).
Come avete detto, la band nasce nel 2007 e continua tutt’ora la sua attività. Nel periodo in cui eravate divisi, come avete fatto? Avete preso una pausa?
No, le canzoni andavano avanti esattamente come l’attività del gruppo. A volte ci si incontrava in Polonia e a volte qui in Svezia per provare e definire i pezzi. Quindi durante questo periodo la band ha potuto godere di vari visioni europee che sicuramente hanno influenzato la nostra musica. Da un punto di vista pratico, è successo anche che le prove o la realizzazione delle canzoni venivano fatte su Skype, e proprio alcune di queste canzoni sono poi finite nel nostro primo album “Out of Regulation”. Una delle difficoltà del lavoro con Skype era dovuto al ritardo che avveniva durante le chiamate, rendendo ancora più complicato il processo compositivo. Quindi non si poteva comunque prescindere dall’incontrarsi e provare dal vivo.
Bene, quindi siete delle persone che sanno come adattarsi alle condizioni avverse. Siete praticamente una band europea, Italia, Svezia e Polonia hanno ispirato il vostro essere artistico? C’era un momento in cui vi riunivate dal vivo tutti insieme?
Sicuramente il fatto di vivere in posti con realtà culturali, sociali e musicali diverse da quella del nostro posto di origine e la possibilità di entrare in contatto con persone con un background diverso l’uno dall’altro ha avuto un forte impatto sul nostro approccio musicale. Questo impatto è chiaramente presente sia nelle nostre canzoni che nel nostro vivere quotidiano.
Il periodo dell’anno in cui avevamo la possibilità di soddisfare maggiormente il nostro bisogno creativo ed espressivo era l’estate. Infatti in questo periodo ci ritrovavamo nel nostro paese, Caposele, a provare e comporre quanto più possibile. Andavamo in questo nostro rifugio dove vi lasciamo immaginare il caldo infernale, ma noi imperterriti lì tutti i giorni, dalla mattina alla sera. Quello che veniva creato durante questi intensi momenti di prove veniva successivamente discusso e rifinito a distanza.
Con tutto questo bagaglio europeo che vi portavate e portate ancora, cosa vi ispira di più nelle vostre fatiche artistiche, la vostra città o l’Europa?
L’Europa in generale ci permette di concretizzare le nostre idee, è il punto di arrivo della nostra musica. Ma a dire la verità tutto quello che abbiamo visto nelle nostre varie sedi non riesce a competere con quello che ci dà il nostro punto di origine ossia il sud Italia, specialmente Caposele. Tutto ciò che siamo e che facciamo deriva da quella realtà di provincia, nel bene e nel male. Una delle cose che ci ha dato la spinta a portare avanti il nostro progetto è stata la mentalità del nostro paese che non ci ha sostenuto molto inizialmente, ma noi nonostante ciò abbiamo continuato sulla nostra strada senza rabbia o rimorso. Quando abbiamo avuto la possibilità abbiamo anche organizzato eventi, in collaborazione con Emergency, incentrati sulla creatività con al centro varie forme di espressione artistica oltre la musica.
Qui in Svezia percepite qualcosa di diverso? Stoccolma come ha accolto la vostra musica?
Qui a Stoccolma abbiamo trovato quell’appoggio che non abbiamo più avuto da quando iniziammo a fare pezzi nostri. Purtroppo finché si continuava a suonare cover tutto era ben accetto, ma nel momento in cui si è iniziato ad avere una nostra identità, le cose sono cambiate, molti ci criticavano perché cantavamo in inglese o semplicemente avevamo maggiori difficolta ad essere capiti. Questa visione di perfezione che si ha delle band estere ingabbia molti talenti dentro dei confini che potrebbero superare facilmente, poiché in realtà è tutto molto più semplice di quanto si crede. Per concludere, a Stoccolma abbiamo avuto la libertà di poterci esprimere senza pregiudizi. Naturalmente noi parliamo della nostra esperienza avuta in un piccolo paese del Sud Italia da cui veniamo, poi è chiaro che anche in Italia, nelle città più grandi, ci sono visioni più aperte e simili a quelle che troviamo qui in Svezia.
La cultura musicale italiana è stata di aiuto o di impaccio nella formazione musicale dei Valerihana?
Assolutamente di aiuto, siamo stati attenti soprattutto al cantautorato italiano, ad artisti come Bruno Lauzi, Pierangelo Bertoli, De Gregori, Battisti; insomma questi grandi autori sono il nostro valore aggiunto. La nostra musica, ha una potenza ed irruenza nelle chitarre, ma anche un lato melodico, siamo un po’ nel mezzo, a chi piace il pop dice che facciamo metal, mentre a chi piace il metal dice che facciamo pop.
Voi usate dei nomi d’arte, che ricordo sono: Jack Adamant alla voce/basso, Adam Sebastian alla chitarra e Johann Sebastian alla batteria. Chiaramente non sono i vostri veri nomi, come mai questa scelta?
La scelta non è una sorta di allontanamento dalle nostre origini, che ovviamente rispettiamo e soprattutto non denigriamo, ma è un modo per essere ascoltati senza avere pregiudizi, essendo questi tre nomi comunque molto internazionali.
Capisco. Passiamo all’ultima domanda, quella più sorniona. Descrivete i Valerihana con tre parole?
Eh questa è complicata! Sicuramente energia, ribellione e passione.
Bene grazie per averci raccontato la vostra storia, anche se purtroppo due pagine sono troppo poche e ci vorrebbe molto più spazio per riportare tutti gli aneddoti e considerazioni che vi appartengono.
Prego e grazie a te per averci dato l’opportunità di raccontarci.
Valerio De Paolis