Considerazioni sull’essere italiani e l’essere svedesi. Jonas Ljungström è forse italiano?
23/10/2014
Ne “La solitudine del satiro” Ennio Flaiano fa un’analisi sul significato dell’”essere italiano”. Il pretesto è un’inchiesta con alla base una semplice domanda: di che nazionalità vorresti essere se non fossi italiano. Risponde Flaiano. “Prima di tutto bisognerebbe provare che sono italiano. Vediamo di riuscirci con una dimostrazione per assurdo, ma ne dispero. Dunque, non sono fascista, non sono comunista, non sono democristiano: ecco che mi restano forse venti probabilità su cento di essere italiano”. … “Non scrivo e non parlo il mio dialetto, non adoro la città dove sono nato, preferisco l’incerto al certo, sono di natura dimissionario, detesto il paternalismo, le dittature, gli oratori. … Pago le
contravvenzioni, non ho amici negli uffici importanti e mi sarebbe penoso partecipare a un concorso. Non so cantare e non mi piace sentir cantar gli altri se non a teatro. Non scrivo versi. Sono italiano? Se visito un museo non parlo ad alta voce, e se vado in una biblioteca non tento di portarmi via un libro o le sue illustrazioni. Sono forse svedese?”
Di come gli italiani vedevano e vedono la Svezia, troviamo traccia in “Un marziano a Roma“, uno dei testi più famosi di Flaiano. Un’aeronave scende a Villa Borghese, scaricando un tipo biondo, alto, un po’ malinconico e con “qualcosa di svedese” nel modo di comportarsi. Il nuovo arrivato si chiama Kunt e dice di provenire da Marte. Subito, nelle strade, si scatena un’euforia incontrollata. Quali saranno, si chiedono tutti, le conseguenze dell’imprevista visita dal cielo? C’è attesa, timore ma anche speranza, mentre Kunt viene ricevuto dal presidente della Repubblica, dal prefetto e persino dal Papa.
Nel 1954 il marziano poteva essere uno svedese: uno che proveniva da un altro mondo. Un’economia solida e competitiva, uno stato sociale tra i più sviluppati al mondo, parità dei diritti, tasso di corruzione bassissimo: tutto questo rendeva la Svezia, almeno nell’immaginario collettivo, meta prediletta di chi sogna un paese dove mettersi al riparo dalla crisi. Il Paese che ha le risposte a tutti i problemi. Così Paul Krugman, premio Nobel per l’economia nel 2008, definiva la Svezia. Questa visione quasi paradisiaca del “modello scandinavo” s’è diffusa a macchia d’olio all’interno degli ambienti “liberal”, alla costante ricerca d’esperienze e paradigmi da portare a esempio. Una Svezia caratterizzata da ampia spesa pubblica, da elevate richieste tributarie, e da un welfare state efficiente e di qualità.
L’Indice della libertà economica (Index of Economic Freedom) della Heritage Foundation pone la Svezia tra i venti Paesi con la maggior libertà economica al mondo. Per intenderci, l’Italia è all’ottantaseiesimo posto.
Nell’immaginario degli italiani la Svezia è sempre stata associata a una realtà perfetta e agli antipodi rispetto alla nostra. Insomma, la Svezia può e dovrebbe essere presa d’esempio.
Ma pure gli svedesi ci amano, da sempre vengono in vacanza nel nostro Paese, anche se i tempi di Anita Ekberg e dei vitelloni della riviera romagnola sono lontani. È un amore ricambiato, specie quando a rappresentare il Paese scandinavo sono bionde chiome e occhi azzurri.
Al marziano a Roma di Flaiano si collega un fatto accaduto recentemente in Piemonte. Ma in questo caso lo svedese è un signore normale, non biondo, di mezza età.
Almeno per l’immaginario comune, nessuno si sarebbe aspettato che tale Jonas Ljungström, originario di Uppsala, diventasse protagonista di una vicenda questa volta non edificante per l’immagine della Svezia.
Jonas non è uno svedese qualunque. Master in Business Administration presso l’Università di Uppsala, è attivo come CEO di Investment Company Traktor, e nel mercato dei capitali nella United Securities, organizzatore di mercato nello Stockholm Corporate Finance, Senior Partner e Responsabile M & A.
Ebbene, costui ha creato nel 2009 un verdeggiante quanto redditizio angolo di Svezia in Italia, a Capriata d’Orba, nel cuore del basso Piemonte, ma con uno “stile” e un modo di agire non propriamente nordici. Qui ha dato vita a un complesso alberghiero a quattro stelle: “Villa Val Lemme”, un paradiso immerso nel verde ricavato da una residenza nobiliare fatta costruire nel 1850 dal marchese Puccio, dotato di trenta stanze (di cui sedici per gli ospiti), quasi 2 mila metri quadrati di saloni, suite di primo livello, laghetto, bosco con “18 differenti specie di alberi”, piscina rocciosa, campo da golf.
“Upplev det äkta Italien. Bo på ett italienskt slott!” Provate la vera Italia. Soggiorno in un castello italiano! “Una perla da gustare”. “Una favola nel basso Piemonte”: questi tra gli slogan più sobri, per attirare tanti ospiti scandinavi.
E le cose sono andate benissimo per Jonas fino al mese scorso, quando la Guardia di Finanza ha scoperto ben cinque anni di redditi non dichiarati al fisco per un milione e 300 mila euro, personale assunto in nero, nessuna autorizzazione. Il sistema ha funzionato piuttosto bene, se si pensa che nemmeno il sindaco di Capriata, Daniele Poggio, fosse al corrente di questa attività.
La Svezia è il Paese europeo con la minore evasione fiscale. All’Italia, al contrario, spetterebbe la maglia nera. Ma si sa: paese che vai, usanza che trovi. Ed è forse per questo che l’imprenditore svedese aveva preferito rimanere sconosciuto al fisco di casa nostra. L’intero personale dipendente (camerieri, cuoco, inservienti), di nazionalità straniera, lavorava in nero. L’albergo, inoltre, era sprovvisto delle autorizzazioni amministrative per la somministrazione di alimenti e bevande.
Nel corso degli anni, poi, sono state omesse sistematicamente le comunicazioni agli organi di pubblica sicurezza riguardo ai clienti alloggiati. Per le prestazioni alberghiere, infine, non era mai stata tenuta la contabilità fiscale. L’intervento dei baschi verdi ha rotto l’incantesimo, contestando al proprietario l’illegittimità dei suoi guadagni da favola.
L’operazione, denominata “Black Resort”, ha scoperto l’esistenza di tre società susseguitesi nella gestione della struttura, aventi sede in Lombardia e nell’alessandrino, tutte evasori totali, risultate poi riconducibili al Ljungström. Anche il finale della storia è più italiano che svedese. L’imprenditore, dimostratosi collaborativo con la Finanza, ha confessato senza batter ciglio l’evasione (almeno in questo si è dimostrato nordeuropeo), dichiarando di voler saldare i suoi debiti con la giustizia per proseguire l’attività alberghiera. Questa volta in regola. Ha “chiesto scusa”, ha ammesso le proprie responsabilità, ha già pagato una prima tranche di sanzioni di circa trentamila euro e ha messo in regola alcuni dipendenti. Dopo un periodo di chiusura, all’albergatore è stato concesso di riaprire i battenti. E i clienti sono ora registrati e fatturati come si deve. E tutti furono felici e contenti.
Jonas è stato perdonato dalla legge italiana, perché gli italiani sono buoni. Mica come gli svedesi che sbatterono brutalmente in galera tale Giuseppe Colasante, un papà italiano denunciato dai passanti perché avrebbe dato uno schiaffo al figlio che faceva i capricci davanti a un ristorante di Stoccolma. Un gesto inaccettabile per la cultura svedese e che è invece cosa normale in Italia. Come è normale, purtroppo, evadere il fisco.
Per concludere con Flaiano, Jonas ha finito per chiedersi: sono forse italiano?
Silvano Console